Il destino editoriale di Devil mi è sempre apparso piuttosto curioso. Lontano dai radar dei grandi eventi che ciclicamente sconvolgono lo status quo dell’universo Marvel, la serie di Devil ha potuto storicamente navigare in acque relativamente tranquille, traghettata a volte per lunghi cicli narrativi da autori destinati a diventare fari dell’industria fumettistica statunitense, per poi ritornare per un altro po’ nell’ombra. Per citare l’esempio più eclatante in questo senso, Frank Miller ha iniziato la sua carriera da sceneggiatore proprio sulle pagine di DareDevil. Certo erano altri tempi, la Marvel era ancora gestita come una casa editrice di eroi in calzamaglia con un target di adolescenti e non come la multinazionale impegnata su tutti i fronti della produzione culturale che conosciamo oggi, eppure la decisione di affidare a un quasi esordiente – Miller prima d’allora aveva disegnato qualche storia per DC e Marvel scrivendo giusto una manciata di back stories – l’intera gestione artistica di un personaggio storico può apparire comunque azzardata.

Per spiegarsene le ragioni dunque bisogna ritornare alla precarietà editoriale di Devil e alle basse vendite che ne accompagnavano l’uscita a cavallo tra i ’70 e gli ’80. Affidare le redini a un esordiente in fondo non poteva essere un’idea così malvagia: probabilmente si sarebbero abbattuti i costi di produzione e nella peggiore delle ipotesi si sarebbe arrivati comunque a quella chiusura che da qualche anno ormai si mormorava imminente. Il ciclo scritto e disegnato da Miller invece si rivelò invece un successo senza precedenti, introducendo nuovi personaggi e confezionando episodi entrati nella storia della testata, al punto di ridipingere completamente l’appeal del personaggio agli occhi del pubblico. L’universale successo della gestione Miller non si tradusse però in un pari aumento di popolarità per Devil. Per ritrovare un autore di fama alle redini della testata bisogna balzare negli anni 2000 quando una Marvel in pieno spolvero decise di affidarne i testi a Brian Micheal Bendis, stella del panorama indie e futuro architetto delle storie più importanti della casa delle idee, oppure direttamente ai giorni nostri con l’apprezzato e premiato arco narrativo sceneggiato da Mark Waid.

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L’odierno ritorno sotto i riflettori di Devil non è certo da considerarsi però un avvenimento casuale. Nella Marvel di oggi, impero multimediale che snoda le sue trame dalla carta al piccolo/grande schermo, l’attenzione editoriale verso le imprese dell’alter ego dell’avvocato cieco Matt Murdock è figlia di un’invidiabile coordinazione finalizzata a sfruttare quanto più possibile l’eco dell’ottima serie tv confezionata in collaborazione con Netflix. Ora che il pioniere dello streaming legale sta per esordire anche dalle nostre parti – proprio oggi, se tutto va come previsto nella stesura di questo articolo – Panini Comics giustamente non ha perso l’occasione per affiancare all’uscita ufficiale della serie in Italia una nuova collana dedicata alle storie più importanti del diavolo di Hell’s Kitchen, racchiuse per altro in bei volumi cartonati – con tanto di copertina che restituisce al tatto una piacevole sensazione satinata.

La scelta per il primo volume è ricaduta non a caso su una delle storie più celebri di Devil, L’uomo senza paura, che ha segnato nel pieno degli anni ’90 il ritorno di Frank Miller ai testi del supereroe che ne ha sancito l’affermazione, coadiuvato dalle solide matite di John Romita JR. I motivi per partire con una ri-narrazione mai considerata canonica delle origini di Devil sono molti e non tutti da ricercare tra le pagine del fumetto. Per iniziare, L’uomo senza paura è la storia che più di ogni altra ha influenzato il DareDevil messo in scena da Netflix e nel raffronto ravvicinato concesso dall’uscita quasi contemporanea di volume e serie tv i punti di contatto tra le due opere risultano ancora più evidenti.

Poi c’è il nome di Miller, sempre molto spendibile per la sua fama estesa ormai anche oltre la bolla dei lettori di fumetti grazie alle sue collaborazioni hollywoodiane. In aggiunta, Miller è recente tornato a far parlare di sé nel mondo dei comics dopo un periodo di pausa dovuto a problemi di salute con l’annuncio-bomba di un nuovo capitolo di The Dark Knight Returns, la mini-serie usata come principale fonte di ispirazione – purtroppo travisata, almeno per quanto è stato fatto filtrare attraverso il trailer – dell’imminente Batman vs Superman. E infine le matite di Romita JR, un nome forse meno noto al grande pubblico, ma comunque apprezzatissimo dagli appassionati e molto chiacchierato di recente per il suo passaggio alla DC Comics per la quale sta firmando un ciclo di storie di Superman che verrà ricordato per un netto cambio nello status quo del personaggio.

Se dunque non mancano elementi esterni che rendano la storia particolarmente interessante agli occhi di qualunque lettore, gli spunti di riflessione più interessanti si rinvengono come naturale tra le pagine del volume, almeno per chi è interessato al percorso compiuto dal Miller fumettista. Devil è uno dei due grandi amori dello scrittore americano insieme a Batman, due eroi profondamente simili. Entrambi non dispongono di veri e propri superpoteri – anche se Devil può contare su dei sensi amplificati dall’incidente con una sostanza radioattiva che lo ha privato della vista – ma spingono piuttosto fino e a volte oltre il limite le possibilità del proprio corpo. Le loro storie vanno in scena prevalentemente in ambientazione metropolitana, per motivi differenti prediligono l’ombra alla luce e il senso di giustizia di ambedue gli uomini sotto la maschera è condizionato da un lutto familiare consumatosi nella violenza criminale della città che li ha allevati.

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Nel caso di Matt la perdita è quella del padre, Jack “Battlin” Murdock, pugile di bassa lega ucciso dalla mala per aver vinto di fronte al figlio un match truccato a suo sfavore, a cui Miller tuttavia prima di questa fine eroica cuce addosso una vita vigliacca da picchiatore della mala. Un incarico che Jack svolge sotto ricatto per scongiurare guai più grossi, per evitare che il suo ragazzo finisca in mezzo alla brutta faccenda in cui lui si trova invischiato, ma a cui non trova mai davvero la forza di sottrarsi. Pestare negozianti che ritardano col pizzo mortifica lo spirito di Jack, ma non al punto da spingerlo a ribellarsi come la consapevolezza che il giovane Matt è tra il pubblico, incapace di vedere i suoi pugni e forse anche di incassare un’altra delusione.

La macchia aggiunta da Miller sulla parabola di “Battlin” Jack – non presente nelle origini ufficiali narrate da Stan Lee – è una di quelle revisioni postume che non tutti i lettori hanno perdonato a Miller, ma rappresenta anche uno degli elementi più importanti per capirne la poetica, giunta alla piena maturità all’inizio dei ’90 attraverso storie divenute capisaldi del medium come The Dark Knight Returns, Sin City, Batman: Year One e appunto Man Without Fear (a cui bisognerebbe aggiungere anche la sceneggiatura del primo RoboCop). Nella visione della società di Miller (quasi) nessuno si salva. Il male è dilagante, scorre nelle strade di Hell’s Kitchen corrompendo tutto ciò che tocca. Rifugiarsi nell’integrità non è una soluzione, tutt’al più un riparo temporaneo in cui crogiolarsi prima che l’ordine stabilito della società malata esiga il suo compenso – si pensi ad esempio alla figura di Superman in The Dark Knight Returns.

Miller non fa mistero della sua ideologia conservatrice, così il suo fastidio per una società che si muove in direzione contraria a quella che crede corretta tracima nelle pagine di sceneggiatura che scrive. Le città di Miller sono sempre posti insicuri, certamente ispirati dalla letteratura noir, ma tremendamente moderne nei pericoli brutali che celano tra i suoi vicoli. Le forze dell’ordine sono inette o corrotte, incapaci di fermare il giovane Matt quando era solo un ragazzino e colluse con la mala cittadina nel frenetico finale.

Se l’uomo onesto che decide di giocare secondo le regole non può che soccombere opponendo semplicemente l’integrità morale di fronte a chi le regole le calpesta o le compra, al buon cittadino non resta che scavalcare il confine tra società e giustizia e diventare fautore delle proprie leggi. Tutti gli eroi di Miller contrappongono una giustizia privata (e violenta) a una società corrotta dal degrado. La tensione verso il meglio di rado passa per la collaborazione sociale o l’unione di intenti, comunque mai finalizzata al cambiamento, bensì attraverso le azioni di singoli law abiding citizien disposti ad occuparsi personalmente della risoluzione dei problemi, sradicandoli senza discussione dalla società che contagiano, anche in via definitiva se necessario. Il Devil di Miller, questo Devil di Miller uccide, prima accidentalmente e poi a sangue freddo. Un’altra ombra che L’uomo senza paura cala sulla storia personale dello scavezzacollo vestito di rosso, un’aggiunta ancora una volta mai completamente perdonata, ma logica e coerente nell’approccio milleriano.

La figura di Devil che emerge da L’uomo senza paura non ha mai messo del tutto d’accordo gli appassionati, ma è presto diventata comunque fortemente iconica. Si può non essere d’accordo con le idee di Miller – io personalmente non potrei essere più lontano dal suo pensiero – ma la capacità di tradurre la sua idea di mondo in eroi dal forte impatto sull’immaginario collettivo è innegabile. Il Matt Murdock de L’uomo senza paura è una figura che difficilmente si dimentica con la sua apparente apatia giovanile in cui cela una determinazione incrollabile agli ordini del misterioso Stick, destinata ad offrire terreno fertile per le radici della risolutezza che contraddistinguerà il futuro Devil. Per questo la parentesi di follie che Matt si concede prima inseguendo e poi godendosi Elektra – altra icona tragica nata in versione fumettistica dalla penna di Miller – rappresenta la necessaria quiete prima della tempesta. Per Matt, che dovrà affrontare il suo indissolubile legame con una New York che scivola dalle mani di un boss a quelle di un Kingpin, e per il lettore che presto sarà scaraventato tra le adrenaliniche pagine finali, un incessante inseguimento in cui Devil nel suo iconico costume nero – ovviamente ripreso dalla serie tv – si abbandona al suo destino di vendicatore dei torti nel tentativo di salvare la sola figura immacolata della storia, qualità che Miller concede solo a una bambina in fondo non ancora adolescente.

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A trasformare in immagini le parole di Miller ci pensano le ruvide, ma eleganti matite di Romita JR. Lo stile immediatamente riconoscibile del figlio d’arte italo-americano ha attraversato intatto almeno quattro decadi sapendo muoversi lungo un percorso evolutivo strettamente personale e mai banale. L’uomo senza paura è del 1993, periodo in cui esplodono muscolature esagerate, pose improbabili e linee cinetiche a profusione, eppure Romita non cede allo spirito del tempo: le pagine patinate dell’elegante volume Panini potrebbero tranquillamente essere state disegnate ieri. Il dinamismo non è mai stato il suo forte, è vero,  con quel tratto pesante e un po’ squadrato. Compensa però con volti ed espressioni che da soli raccontano storie. Soprattutto i nasi, adunchi, larghi, tozzi oppure aquilini o all’insù: come spiegano i Wu Ming nell’incipit di L’armata dei sonnambuli, non c’è nulla in uomo che racconta la categoria sociale più del naso.

E poi quelle rare, potentissime splash-page, la New York buia e tempestata da pioggia o neve, la fisicità mediterranea di Elektra, l’accoppiata di tuta e bandana nera che trasforma Matt in un ninja metropolitano, o la surreale stazza di un gigantesco Kingpin: tutte immagini ormai inseparabili dalla mitologia di Devil. Di rado penna e matita di due mani differenti sono andate così d’accordo.



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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